Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Partiamo da questo antico detto latino. Alcuni anni fa, mi sembra sei o sette, si procedette al ripascimento della costa, da Capo d’Anzio fino allo stabilimento Marinaro. Tra mille polemiche.
I risultati furono negativi. Elenchiamoli.

1. Il ripascimento fu soltanto una soluzione tampone. Non risolse il problema dell’erosione della costa. Di lì a breve, infatti, il mare si riprese ciò che gli era stato tolto. L’anno venturo la situazione si presentò tale e quale l’anno precedente. Era sotto gli occhi di tutti, tecnici e popolo, che la situazione sarebbe stata temporanea. Così fu. Non ci voleva una grossa conoscenza per capirla. Quello che si era previsto, si realizzò. Il ripascimento doveva essere accompagnato da un sistema di dighe. Concetto semplice. Il piano c’è, Progetto generale di difesa del litorale di Anzio, il sindaco l’ha scritto più volte alla Regione, a quel Marrazzo politico non più difensore televisivo dei cittadini italiani. Ma non c’è stato verso. Quel progetto, iniziato con le otto dighe di fronte a Capo d’Anzio, ne prevede anche la realizzazione di altre dieci a pennello che, probabilmente, avrebbero reso più organico l’intervento complessivo e risolto la problematica dell’erosione dell’intero tratto di costa fino a Tor Caldara. Il progetto è là, su una scrivania.
2. I lavori partirono tardi. Nel bel mezzo della stagione estiva, accanto ai balneari sdraiati sugli asciugamani a prendere il sole si potevano ammirare ruspe portatrici di sabbia. Acqua, sole, creme abbronzanti, rumori metallici, odore di benzina, sabbia nera, recinti da cantiere: questo era il panorama surreale in quella estate.
3. La sabbia che venne gettata sulla costa era sporca. Non tutta infatti fu presa al largo di Anzio. Molta quantità proveniva dal porto. Lo spettacolo che si presentò dopo il ripascimento fu indegno: insetti di ogni tipo saltellavano beati sulla spiaggia, pozze acquitrinose dimore di flora mai vista prima, odori nauseabondi, melma dilagante, bolle e chiazze spumeggianti a riva. Quel tratto di costa splendido venne rovinato. Molte furono le persone vittime di rossori epidermici e dermatiti. Si salvò la stagione? Non lo so. A memoria si ricordano molte disdette di prenotazioni di ombrelloni e sdraie.

Ritorniamo al detto latino. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Ci risiamo. E anche, sbagliando s’impara, si dice. Non sembra sia così. Il ripascimento che inizierà a breve ripercorrerà gli errori di cui sopra. Gli stessi identici errori di alcuni anni fa. Siamo nel 2007. Sono passati anni. Ma nulla è cambiato.
Chiudiamo con un’ultima considerazione. Il 2 ottobre 2006, presso il Paradiso sul Mare, un signore, Emilio Olzi, professore del Cnr, presentò la seguente relazione, “Barracuda project. A scientific study for the prevention of coasts”. Si tratta di un progetto di salvaguardia della costa dall’erosione marina. Si badi bene. Non un progetto teorico, ma pratico. Iniziato nel 1993 a Bonassola, in provincia di La Spezia, e adottato anche da altri Paesi internazionali (Maldive), prevede la realizzazione di diverse tipologie di soluzioni non deturpanti l’ambiente: da grandi sacchi di sabbia a barriere coralline, da cassoni vuoti a gabbie metalliche. Tutti progetti non futuristici, sottolineiamo, ma già realizzati. Già funzionanti. Già messi in pratica. Con diversi costi, per diverse tasche, ma con un unico denominatore comune: i risultati sono ottimi. Peccato però che quel giorno il professore relazionava davanti ad una platea formata da quattro gatti disperati e nessun amministratore.