Primi anni del Novecento. Porto di Anzio. In una cartolina d’epoca tre persone vengono ritratte mentre lavorano su di una barca particolare, molto differente da quelle vicine. L’imbarcazione in questione è la draga, macchina per l’escavazione e spurgo di porti, fiumi e canali. La sua presenza è giustificata dall’obiettivo: il dragaggio del porto, colpito dal fenomeno dell’insabbiamento. Problema ancor più antico della scena ritratta dalla cartolina. Letizia Ceccarelli, della Soprintendenza dei Beni Archeologici del Lazio, così scrive nell’Atlante storico-ambientale Anzio-Nettuno: «Il grave problema dell’insabbiamento del porto costrinse gli ingegneri ad adottare soluzioni più radicali come l’uso esplosivo per l’apertura di varchi nel molo romano per il deflusso delle acque. A tutto ciò si è poi aggiunto lo sviluppo urbanistico del XX secolo, il cui impatto sulle strutture antiche è stato senza dubbio notevole».
L’altra foto invece ritrae la draga in questi giorni nel porto di Anzio. Obiettivo, il medesimo di cento anni fa: dragare il canale di accesso al porto. “Approfittando” di tale problema, la sabbia dragata viene anche reimpiegata e riversata nel tratto di costa tra Capo d’Anzio e il Lido Garda, tamponando così il grave problema dell’erosione della costa.
Trascorrono gli anni, tanti, la città cresce, la tecnologia avanza, ma la scena è la stessa. Come se il tempo si fosse fermato a quei primi anni del Novecento.
Nel numero 18 di Scanner News, dell’11 maggio 2007, parlando dell’operazione “escavazione porto – ripascimento costa”, abbiamo accennato al “Progetto generale di difesa del litorale di Anzio”, piano predisposto nel 1989 dall’amministrazione comunale (e parzialmente eseguito) al fine di proteggere e recuperare il tratto di costa compreso tra Tor Caldara e il molo Innocenziano.
Al problema (storico) dell’insabbiamento del porto, se ne aggiunge dunque un altro: l’erosione della costa. La draga, che un tempo aveva un solo compito, ora ne ha due: escavo e ripascimento.
Oggetto del piano dell’89 sono due distinti segmenti costieri: da Capo d’Anzio sino al porto; e da Capo d’Anzio sino a Tor Caldara. Il progetto è stato inoltre suddiviso in distinti interventi, interdipendenti tra loro, ed eseguibili, anche per stralci, in tre tempi successivi: intervento sulla riviera di ponente; intervento a protezione di Capo d’Anzio; e intervento a nord di Capo d’Anzio, la cui realizzazione è stata subordinata all’esecuzione dei primi due.
Intervento sulla riviera di ponente. Obiettivo è l’ampliamento e la migliore fruibilità dal punto di vista turistico balneare dell’arenile compreso tra la radice del molo Inncocenziano e quella dell’antico molo del porto di Nerone. Fu previsto il salpamento delle 5 vecchie scogliere emergenti che racchiudono l’arenile della riviera di ponente e la costruzione di una scogliera sommersa posizionata a circa 150 metri dalla battigia su un fondale con profondità media di 3 metri e mezzo. Questo intervento non è stato mai realizzato. Le 5 vecchie scogliere sono ancora parte integrante del paesaggio della riviera di ponente.
Intervento a protezione di Capo d’Anzio. Obiettivo è il completamento della protezione della zona archeologica delle grotte di Nerone e dell’Arco Muto, per ottenere il quale furono previste quattro scogliere frangiflutti emergenti, in prosecuzione delle opere esistenti realizzate dal Ministero dei Lavori Pubblici. Tali scogliere, distanti l’una dall’altra 25 metri, e lunghe 100, rivestono una funzione integrativa dell’intervento a nord di Capo d’Anzio, come spiegato nel successivo punto. Questo intervento è stato realizzato pochi anni fa.
Intervento a nord di Capo d’Anzio. Questo è il tratto di costa che presenta maggiori problemi, dovuti alla sua formazione altamente erodibile. La morfologia della spiaggia non permette l’accumulo di sedimenti transitanti nell’area, i quali, una volta allontanatisi dalla costa per effetto del moto ondoso, si disperdono nei fondali più elevati e oltrepassano, almeno in parte, Capo d’Anzio. Gli obiettivi per salvare tale tratto di costa sono fondamentalmente tre: stabilizzare la spiaggia esistente, riducendo i movimenti longitudinali dei sedimenti che compongono la spiaggia emersa; intercettare parte del materiale in transito, riducendo in tal modo l’entità dei volumi dispersi verso gli alti fondali; ampliare, anche con un versamento di volumi di ripascimento artificiale, l’arenile emerso e sommerso che costituirà, una volta stabilizzato, protezione per l’alta formazione costiera erodibile.
A tale scopo il Progetto prevede la realizzazione di dieci pennelli trasversali sommersi, ad interasse di circa 400 metri; i pennelli sono spinti sino al fondale di -3 metri dal livello del mare; e quindi in grado di intercettare gran parte del sedimento transitante il cui movimento avviene principalmente nella fascia compresa tra il fondale e la battigia. Questo intervento è stato sostituito da un’altra opera: subito dopo Capo d’Anzio pochi anni fa sono state realizzate 4 dighe emergenti.
In conclusione, dei tre interventi previsti dal Progetto solo uno è stato totalmente realizzato (intervento a protezione di Capo d’Anzio). Degli altri due, uno non è stato eseguito, l’altro è stato disatteso.