Una recente indagine Istat rivela che oltre metà degli italiani parla ancora la propria lingua locale

Se pareva boves – alba pratalia araba – albo versarlo teneba – negro semen seminaba” (Somigliavano a bovi – aravano bianchi prati – tenevano un bianco aratro – seminavano un nero seme). Sono i versi dell’Indovinello veronese, scoperto nel 1924, primo documento storico del IX secolo a cui alcuni linguisti fanno risalire la prima forma scritta della lingua italiana.
In realtà la “questione della lingua”, dibattito culturale, nato nel Cinquecento, atto a definire quali caratteristiche dovesse avere la lingua italiana, ha rappresentato un problema, e allo stesso tempo una sfida, per i letterati di quei tempi. Se infatti Dante viene considerato il padre della nostra lingua, con la creazione del dolce stilnovo, il volgare illustre di base fiorentina, unificatore sì dei vari dialetti ma limitato ai dotti (lontano perciò dall’immenso volgo di allora), è pur vero che fu Pietro Bembo, agli inizi del ‘500, a sollevare per primo la questione, sottolineando uno iato incolmabile tra la lingua letteraria italiana e i molteplici registri regionali, chiamati dialetti, parlati dalle masse popolari delle varie regioni italiane.  Ai letterati dell’Umanesimo non andava giù il fatto che scrivessero senza essere letti, perché non capiti dal popolo. L’opera del Bembo, Prose della volgar lingua (1525), è considerata la prima grammatica della lingua italiana: in essa, l’autore esortava ad usare la lingua di Petrarca per le opere in versi, quella di Boccaccio per i testi in prosa. Nonostante i consensi, lo iato non si colmò.
A distanza di tutti questi secoli, l’Italia di oggi sembra assomigliare a quella di ieri. È una Babele di dialetti. Se è vero che l’uso della lingua italiana è cresciuto progressivamente (grande merito ha avuto in questo senso la televisione), è anche vero che più della metà dei residenti nelle venti regioni italiane fra le mura domestiche preferisce le espressioni locali, la lingua dei padri e dei nonni e del volgo di allora. È quanto emerge da una indagine Istat su «Cittadini e tempo libero» che ha considerato un campione di 24 mila famiglie per un totale di circa 54 mila persone.
IDENTIKIT DEL “DIALETTOFONO” – Le persone che parlano prevalentemente italiano in famiglia rappresentano nel 2006 meno della metà, il 45,5% della popolazione di sei anni e più (25.051.000). La quota aumenta nelle relazioni con gli amici (48,9%) e in maniera più consistente nei rapporti con gli estranei (72,8%). È significativo l’uso misto di italiano e dialetto: in famiglia parla sia italiano sia dialetto il 32,5% delle persone di 6 anni e più, con gli amici il 32,8% e con gli estranei il 19%. Interessante notare che ricorre ad un’altra lingua per esprimersi in famiglia il 5,1% della popolazione (un fattore dovuto all’aumento dell’immigrazione), il 3,9% la usa con gli amici e l’1,5% con gli estranei, tutte percentuali in costante aumento. L’uso del dialetto cresce all’aumentare dell’età (oltre il 32% degli ultrasessantacinquenni lo parla in famiglia) mentre è influenzato dal genere: le donne sono più propense ad esprimersi prevalentemente in italiano sia in famiglia che soprattutto con gli amici (51,6% contro il 46% degli uomini), con un divario che è maggiore tra i giovani e finisce per annullarsi tra gli anziani. La scelta del linguaggio è ovviamente influenzata dal livello di istruzione. L’uso prevalente del dialetto in famiglia e con gli amici riguarda soprattutto coloro che hanno un titolo di studio basso, anche a parità di età. Quanto alla ripartizione geografica l’uso prevalente o esclusivo dell’italiano è più diffuso al Centro e nel Nord-ovest.
AL SUD PREVALGONO GLI IDIOMI LOCALI – Le regioni in cui è maggiore la quota di persone che parlano prevalentemente italiano sono la Toscana (83,9%), la Liguria (68,5%) e il Lazio (60,7%), mentre quelle dove è minore sono la Calabria (20,4%), il Veneto (23,6%) e la Campania (25,5%). Nel Meridione (ad eccezione della Sardegna) più del 70% degli individui utilizza il dialetto in famiglia, anche se non in modo esclusivo. Al Centro solo nelle Marche e in Umbria si registra un uso del dialetto in famiglia superiore alla media nazionale (rispettivamente 56,1% nelle Marche e 52,6% in Umbria). Al Nord il Veneto e la provincia di Trento sono le uniche zone dove è prevalente l’uso, seppure non esclusivo, del dialetto in famiglia (69,9% in Veneto e 64,1% nella provincia di Trento).
RIMANDATI SULLE LINGUE STRANIERE – Ancora una volta arrivano dolenti note sulla conoscenza delle lingue straniere da parte degli italiani. I turisti ci invadono, ma sembriamo ancora restii ad apprendere altre lingue che non siano la nostra. Il 56,9% della popolazione maggiore di sei anni dichiara di conoscere una lingua straniera, ma a diversi livelli. Prima l’inglese, poi il francese, molto meno il tedesco e lo spagnolo. L’inglese va per la maggiore tra le giovani generazioni, fra le persone mature è più diffusa la conoscenza del francese. Le lingue straniere si conoscono di più nel Nord-ovest (62,9%) e nel Nord-est (62,4%), mentre nel Sud e nelle Isole i valori sono nettamente inferiori (rispettivamente 48,5% e 51,4%). La conoscenza delle lingue è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2000. La conoscenza dell’inglese aumenta soprattutto tra le persone dai 55 ai 64 anni (con un incremento del 32%). Il titolo di studio ha un’influenza fondamentale nella conoscenza delle lingue straniere tale da annullare in parte le differenze generazionali. Il vero nodo sta nel fatto che i livelli di conoscenza delle lingue straniere sono ancora molto bassi, ma maggiori tra donne, giovani e laureati: il 37,7% di tutti coloro che conoscono una lingua straniera. Sono le donne ad avere un livello di conoscenza delle lingue straniere buona o ottima superiore a quello degli uomini: parla un inglese buono o ottimo il 31,1% delle donne contro il 27,7% degli uomini. Dal punto di vista dell’età sono le persone tra i 25 e i 34 anni ad avere i livelli di competenza più alti, mentre fino ai 14 anni la quota di ragazzi che ritiene di avere livelli di competenza buoni o ottimi è decisamente inferiore alla media. Il titolo di studio è la variabile che influenza in modo preponderante il livello di competenza: il 62,6% dei laureati leggono nella lingua straniera che conoscono meglio in modo buono o ottimo a fronte del 35,5% dei diplomati e del 22,8% delle persone con la licenza elementare o nessun titolo.
«DO YOU SPEAK ENGLISH?», «OUI!» – Si conferma comunque l’idea che nel nostro Paese prevale un livello piuttosto elementare di conoscenza delle lingue straniere. La maggior parte delle persone afferma infatti di comprendere ed usare espressioni comuni e di saper usare la lingua straniera in situazioni familiari (55,9%), il 24,8% di comprendere le linee generali di un discorso e di saper produrre un semplice testo; solo il 9,1% dichiara di saper comunicare fluentemente e di utilizzare la lingua straniera con padronanza. Quanto alle modalità di apprendimento è la scuola il principale canale (85,8%), seguono i soggiorni all’estero (17,6%) e la frequentazione di corsi e/o lezioni non scolastici (10,8%).