Il voto da solo non basta

Istruzione, cultura e partecipazione politica per uscire dal coma.

La legge 4 aprile 1956, n. 212, disciplina le norme per la campagna elettorale e, in particolare, il silenzio: “Nel giorno precedente ed in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda” (arti. 9, comma 1). E così, in questo silenzioso sabato pre elettorale, siamo noi a parlare di politica.
L’appello maggiormente gridato in questi ultimi mesi, da parte di tutta la classe politica e di tutti i mezzi di informazione, compresi i social network, è: “andate a votare“. Perchè il voto è un diritto ed un dovere civico, sancito dall’articolo 48 della Costituzione; perchè «è’ bene avere a cuore il futuro del proprio Paese», (Ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri); perchè sancisce uno dei principi della democrazia in Italia, dopo il ventennio fascista.
Ma nessuno, a parte il comico Beppe Grillo (comico, non politico, si badi bene), ha affermato che il voto non basta per cambiare lo status quo italiano, per salvare la Girlfriend in a coma, documentario inchiesta di Annalis Piras e Bill Emmott, sul declino politico e morale italiano. Bisogna fare di più. Bisogna partecipare attivamente alla vita politica del Paese.
E cos’è questa partecipazione politica? Non è altro che il coinvolgimento dell’individuo nel sistema politico a vari livelli di attività, dal disinteresse totale alla titolarità di una carica politica, in cui il livello più basso di partecipazione attiva consiste nel voto. E, per capire quanto gli italiani siano addormentati, bisogna analizzare i tre aspetti della partecipazione politica: il modo di partecipazione, cioè l’aspetto formale ed informale che essa assume, variabile in relazione alle opportunità, ai livelli di interesse, all’ammontare delle risorse economiche; l’intensità, ovvero la misura di quanti individui partecipino effettivamente; e la qualità, il grado cioè di efficacia conseguito dalla partecipazione.
Per quanto riguarda il primo punto, le forme di partecipazione politica, esse si distribuiscono secondo una scala gerarchica dove più alto è il livello di attività, minore è il numero di coloro che partecipano. Al vertice si collocano i titolari di cariche politiche, esercitanti un potere politico formale. Al di sotto di essi ci sono i militanti di organizzazioni politiche o semi-politche, cioè dei partiti politici e dei gruppi di pressione. E giù giù, fino al gradino più basso: il voto. Quest’ultimo è la forma meno attiva, in quanto richiede un impegno minimo che cessa una volta che si è votato. Inoltre, la votazione è limitata dalla frequenza con cui si svolgono le elezioni.
Bene, dati alla mano, esiste un divario netto tra partecipazione elettorale e le altre forme di partecipazione politica. In sintesi (ecco il secondo punto), solo una piccola percentuale della popolazione è coinvolta ai livelli più alti della scala gerarchica che abbiamo visto, mentre la maggioranza partecipa ai livelli più bassi, direttamente connessi alle occasioni elettorali. Da ciò dipende anche la qualità della partecipazione politica (terzo aspetto): meno intensa è la partecipazione, meno efficace sarà la sua forza per un cambiamento radicale dello status quo esistente.
Questa analisi designa il quadro che c’è in Italia. Il coma profondo.
Affinchè ci sia un reale cambiamento, questo deve partire dal basso, dall’interno di ogni individuo, dalle piccole cose quotidiane. Dalla cultura, intesa non come titoli di studio, ma come rispetto, tolleranza, educazione civica, sia nei confronti del prossimo sia della nostra Terra. Ed è questa un’operazione assai ardua e difficile. Perchè i nostri sforzi sono continuamente abbattuti dalla classe politica, così distante dal paese reale. Basti pensare che i programmi elettorali confermano che la cultura è per tutti un tema secondario. Come si fa a cambiare un sistema se non si parte dall’educazione e dall’istruzione?
Si può ben capire allora come il voto da solo non basti. C’è bisogno di un qualcosa in più. D’altronde come si può essere rappresentati da personaggi che sono in politica da decenni e che rappresentano essi stessi la causa di questo profondo coma? Così falsi ed ignavi? Loro esortano gli italiani a votarli, ma non a partecipare. Ovviamente.
E, in questo scenario apocalittico studiato a tavolino, il forte grido qualunquista e populista di Beppe Grillo, “Tutti a casa“, sembrerebbe quel qualcosa in più. Giusto o sbagliato che sia (sarà la storia a giudicare), il comico sembra aver risvegliato le coscienze di una parte della popolazione italiana, invitandola a partecipare alla vita politica del Paese. Egli sembra un Robespierre moderno contro cui l’Ancién Regime si oppone, perchè timoroso di un sovvertimento radicale. Robespierre fece una brutta fine, così come Napoleone dopo di lui, sepolti dal Congresso di Vienna nel 1815, che cercò di restaurare la situazione precedente la Rivoluzione Francese. Ma fallì, perchè non riuscì a seppellire le idee illuministe che la Rivoluzione aveva fatto proprie ed esportato nel resto d’Europa. E che, insinuatesi nelle coscienze degli individui, portarono al superamento dell’Ancien Regime e alla nascita degli Stati moderni.