Una ricerca del Mulino su 163 coppie napoletane: l’inventiva come rimedio. Nonostante l’incertezza, solo due coppie su 10 rinunciano al matrimonio.

Amanti alla giornata, sposi furtivi, genitori d’azzardo. Pranzano insieme al bar se capita, educano i figli via sms, perfino le effusioni più intime le incastrano alla meglio nell’imprevedibile agenda delle loro giornate. La forma della “famiglia tradizionale”, così cara a vescovi e moralisti, quella è rispettata: maschio, femmina, casa, figli; ma dietro c’è ormai un oggetto sociale del tutto nuovo, forse rivoluzionario. Atipico come la condizione professionale che lo ha prodotto.
Le famiglie che campano su buste paga precarie, intermittenti, temporanee, non vivono come le altre, quelle dei “garantiti” a posto fisso. Eppure, se le cifre dicono la verità, saranno il modello di famiglia prevalente nel futuro prossimo.
Nel 2001 (e il dato, l’ultimo disponibile, è già preistorico) quasi otto milioni di italiani vivevano in famiglie messe su col cuore oltre l’ostacolo, senza la sicurezza del reddito. La meraviglia, semmai, è che non rinunciano a sposarsi, né a far figli. Ma la pagano con l’ansia. E rimediano con l’inventiva, forse un po’ con l’incoscienza da eterni adolescenti.
Eccole dunque, le Coppie flessibili, finalmente sotto la lente non dell’economista ma del sociologo della vita quotidiana: Luca Salmieri, docente a Roma, ne ha studiate a fondo 163, tutte napoletane, seguendole passo passo, con questionari e lunghe interviste. Il suo resoconto, ora pubblicato dal Mulino, somiglia a quello dell’etnologo alle prese con una tribù dai comportamenti anomali, bizzarri, apparentemente irrazionali.
Perché lavano i piatti alle due di notte e fanno l’amore a casa della suocera alle tre del pomeriggio? Ma perché vogliono vivere, vivere comunque, e metter su famiglia anche se “non si ha una posizione”, come dicevano i nostri nonni. Anche se sulla carta d’identità, ormai, alla voce “professione” sempre più spesso c’è scritto “omessa”. Questa è il primo luogo comune sfatato: non è vero che la precarietà economica, la busta paga che oggi c’è e domani forse no, scoraggia i progetti di coppia.
La paura di non farcela a fine mese trattiene sulla soglia dell’altare solo due coppie su dieci; più della metà di quelle che esitano lo fanno sperando semmai in un lavoro più appagante. Ma quelli che il salto l’hanno già fatto non sono né incoscienti né rinunciatari: semplicemente hanno scoperto che la famiglia può essere l’unica oasi di stabilità nel deserto dell’incertezza. Meglio essere in due dentro la navicella della vita precaria. Meglio, perché due salari precari messi assieme sono un po’ meno precari, quando un contratto finisce l’altro va avanti, ci si sostiene a staffetta nei momenti critici e tremendi del passaggio da un posto di lavoro all’altro. Ma soprattutto perché, nella gestione quotidiana, due agende impazzite possono farne una quasi tollerabile.
È il tempo, più ancora che il soldo, il gran tiranno della famiglia flessibile. Tempo che sfugge al controllo, tempo eterodiretto. Solo 4 intervistati su dieci hanno un orario d’ufficio rigido. Ma gli altri non sono affatto più liberi: sono anzi più servi dell’orologio. Dove manca il cartellino, troneggia la minacciosa “scadenza”, la deadline da non mancare, calcolata sempre stretta, e il tempo di lavoro allora invade pericolosamente il tempo della vita. Ci si porta il lavoro a casa materialmente e anche mentalmente.
Week-end, feste, perfino le serate domestiche (da 5 a 15 ogni mese sono occupate per lavoro) non sono più al sicuro. Il tempo libero diventa un concetto sfumato: comprende anche le faccende domestiche sbrigate a ore inverosimili, per ottimizzare. Tre su quattro sono insoddisfatti della combinazione fra i propri tempi e quelli del partner. Si rimedia in stile Tarzan, saltando da una liana all’altra: ogni giornata è diversa dalla precedente, tutta da improvvisare, il disordine è la regola, ci si dà appuntamento via cellulare, last minute, “Come sei messa? Ci vediamo in centro tra mezz’ora?”. Cogli l’attimo: anche se è sempre lei, dei due, quella più disposta a sacrificare i propri tempi.
Altra vera grande sfida al destino sono i bambini. Il primo figlio è ancora una scommessa su basi razionali, calcolate. Il secondo è puro salto nel vuoto, per non perdere l’appuntamento con la biologia (“Non si può aspettare quarant’anni”), o per fatalismo vitalistico: “è arrivato, bene così”. In qualche modo li tireranno su, ci sono nonni, vicini, amiche, babysitter. Salvo patire sensi di colpa da abbandono: la maggioranza delle coppie interamente flessibili passa coi figli meno di due ore al giorno. Reazioni d’ansia: “Come fai a educare tua figlia quando non sai neppure dove andrà a pranzo domani?”. Ma poi si va avanti, senza rifletterci troppo.
Ecco insomma l’effetto inatteso della precarietà: un ritorno forzoso al “se non si va non si vede” degli adolescenti. Col rischio che diventi regressione, rifiuto della responsabilità, fuga in se stessi, venato perfino di egoismo: quando solo uno dei due partner è “flessibile”, il conto corrente è cointestato (in 76 casi su cento), mentre se lo sono tutti e due, ciascuno si tiene i suoi soldi (54%). Famiglie di lungo-adolescenti, coraggiose, disordinate, affaticate, vulnerabili: chi teme per l’avvenire della famiglia tradizionale, più che ai pacs, pensi a loro.