Ogni anno in Italia quintali di cibo vengono buttati via nella spazzatura. Per un valore di 8,1 miliardi di euro. I dati non cambiano di molto se ci spostiamo a casa di altri. In Nord America, il 40% del cibo prodotto viene sprecato, per un ammontare di 50 miliardi di dollari. A fronte di 805 milioni di persone che soffrono la fame, secondo gli ultimi dati dell’ONU. E’ in questo contesto che viene ad inserirsi il fenomeno mediatico del momento. Il regista Grant Baldwin e la produttrice Jenny Rustemeyer, entrambi canadesi, hanno messo alla prova se stessi, nutrendosi per sei mesi di avanzi e scarti alimentari e spendendo solo 200 dollari. Il tutto è stato documentato nel video Just eat it, un lungometraggio di 75 minuti, prodotto dalla Peg Leg Films in collaborazione con il British Columbia’s Knowledge Network.
I due autori si tuffano nella questione degli scarti alimentari, partendo dalla produzione dei prodotti agricoli e della loro vendita al dettaglio fino al loro arrivo nel nostro frigorifero. Dopo aver constatato che diversi miliardi di dollari vengono gettati nei rifiuti attraverso del buon cibo, i due decidono di smettere di fare la spesa e di sopravvivere solo con quegli alimenti che sarebbero stati scartati. «Vedendo il film e la nostra avventura – afferma Grant Baldwin – vi stupirete di quanti alimenti buoni vengono buttati via ogni giorno. In questi sei mesi abbiamo mangiato benissimo ed io sono ingrassato anche di qualche chilo». In una nazione, come quella canadese, in cui una persona su 10 soffre la fame, le immagini di sprechi, studiati e voluti dalle aziende, filmati dagli autori, risultano scioccanti ed eloquenti. Ma, agendo così come hanno fatto gli autori, si vive veramente bene o è solo puro cinema? «In realtà era come andare a fare la spesa – continua il regista – Siamo arrivati ad un punto in cui molte persone venivano a casa nostra offrendoci il cibo che loro avrebbero gettato. E la stessa cosa si è verificata con i grossisti: avevano talmente tanto surplus di cibo che non sarebbe stato venduto e ce lo hanno donato». Per sei mesi gli autori hanno mangiato di tutto: «E’ capitato di mangiare del latte scaduto da 17 giorni, secondo quanto riportava la data sull’etichetta. In realtà era buono. Ma è stato un caso limite. Abbiamo sempre trovato cibi non scaduti. Oppure abbiamo mangiato dei cibi confezionati, che vengono distribuiti dal Whole Foods a 7 dollari, e che non venivano venduti perché presentavano dei difetti. E molte barrette di cioccolato, per un ammontare di 15.000 dollari, condivise con un nostro amico, che sarebbero rimaste invendute perché prive di un’etichetta».
Il documentario non racconta solamente l’esperienza dei due autori, ma si caratterizza anche di interviste ad esperti del settore, come lo scrittore e attivista londinese Tristram Stuart, il giornalista statunitense Jonathan Bloom, e la scienziata Dana Gunders, della Natural Resources Defense Council di San Francisco. Si scopre così che in Sud America molte banane vengono gettate via, anche se buone, perché non rispettano determinati canoni di bellezza. Ma l’aspetto più scioccante per gli autori è stato il comportamento dei consumatori: «Anche se nel documentario puntiamo il dito contro l’industria, la metà del cibo sprecato proviene da noi, dai consumatori, sia nelle nostre case sia quando andiamo a mangiare fuori – afferma Baldwin – Alla fine penso che dobbiamo tenere a mente ciò che mi diceva mio nonno: “Non sai cosa significa vivere durante la guerra e cosa vuol dire razionare lo zucchero”. In un altro film parlavo di biologico e di cibo a km zero, importantissimi sia per la qualità alimentare sia per la riduzione di inquinamento legato al trasporto del cibo stesso. Ma oggi tutti parlano di biologico, e pochi di rifiuti alimentari. Credo sarà un argomento futuro, perché è inutile coltivare biologico se alla fine lo buttiamo via».

Pubblicato su Il Cambiamento